In data 28/4/2022 è intervenuta un’ordinanza ex art. 700 c.p.c. con cui il Tribunale di Padova – sez. Lavoro ha reintegrato in servizio un’operatrice socio-sanitaria sospesa per non avere accettato di farsi inoculare il siero genico sperimentale impropriamente definito “vaccino anti-Covid”.
E’ la prima volta che un Tribunale del nostro Paese demolisce alla radice l’intero impianto normativo basato sull’obbligo di “vaccinazione anti-Covid”, definendolo irragionevole e contrastante con ogni principio di proporzionalità, a partire dall’osservazione sull’assoluta inefficacia profilattica del siero.
Il giudice veneto, richiamando i dati contenuti nei più recenti report redatti dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) in tema di «Covid-19: sorveglianza, impatto delle infezioni ed efficacia vaccinale», rispettivamente pubblicati il 23/01/2022 e l’8/4/2022, è giunto a concludere come segue: «A ben osservare, l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori in questione non appare idoneo a raggiungere lo scopo che si prefigge, quello di preservare la salute degli ospiti: e qui risiede l’irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 Cost.. Può infatti considerarsi notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale, può comunque contrarre il virus e può quindi contagiare gli altri. Può dunque notoriamente accadere, ed effettivamente accade, come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che siano). Come emerge dai dati forniti dal Ministero della Salute (v. https://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/dashboards/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1), nonostante l’avvio della campagna vaccinale, il numero di contagi più elevato in assoluto dall’inizio della pandemia, pari a + 220.532, è stato registrato l’11.01.2022».
Pertanto, come saggiamente evidenziato dal Tribunale di Padova, l’obbligo generalizzato di “vaccinarsi” posto a carico dei lavoratori del comparto socio-sanitario si configura come irragionevole in quanto detta imposizione non è affatto idonea «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». Al contempo, la norma di cui all’art. 4, d.l. n. 44/2021 «sembra violare l’art. 3 Cost., poiché, allo scopo di evitare la diffusione del virus, impone al lavoratore un obbligo inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale» e ordunque «sembra doversi concludere che il bilanciamento tra i diritti costituzionali coinvolti, sia stato operato dal legislatore, che pure gode di ampia discrezionalità, in maniera manifestamente irragionevole rispetto alla finalità perseguita».
Inoltre, sempre a detta del giudice veneto, «la normativa italiana che sospende drasticamente dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra violare anche il principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta (tra cui il diritto di lavorare di cui all’art. 15 della stessa Carta, ndr) devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà».
Infine, sempre a detta del giudice padovano, la normativa in questione appare contrastare col principio di uguaglianza nella misura in cui non prevede che l’obbligo di repêchage – oggi previsto a favore dei lavoratori del comparto della scuola, in virtù delle modifiche introdotte dal d.l. n. 24/2022 – sussista anche per i sanitari che scelgono di non vaccinarsi.
In conclusione, la lavoratrice ricorrente, che era stata sospesa fin dall’agosto scorso dalla sua attività lavorativa alle dipendenze di una Fondazione che accoglie persone con disabilità, è stata reintegrata in servizio con decorrenza immediata, ponendosi a suo carico unicamente l’obbligo di sottoporsi regolarmente (ogni 48 ovvero 72 ore) al test per la eventuale rilevazione del virus Sars-CoV-2.
La pronuncia in commento rappresenta una concreta e luminosa speranza per tanti lavoratori italiani che in questi mesi stanno combattendo una dura battaglia nelle aule giudiziarie a difesa dei propri diritti costituzionali, lesi da una normativa illiberale e che costituirà a lungo un’onta incancellabile per il nostro stato di diritto.
Commento a cura dell’avv. Giuseppe Angiuli