Giorgia Wurth
Negli ultimi 15 mesi abbiamo visto cose che se solo ci avessero raccontato prima avremmo pensato alla fantascienza.
Non certo perché prima l’orrore non esistesse, ma perché per la prima volta nella storia abbiamo assistito in diretta streaming a un genocidio.
Chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte, ha dovuto fare i conti con il male come mai forse era accaduto.
A tutto questo dolore, si è aggiunto un devastante senso di impotenza nell’essere testimoni passivi, impossibilitati a fermare una mattanza di civili indifesi, affamati, infreddoliti, malati.
Siamo stati silenziati o peggio ancora ignorati mentre tentavamo di gridare la nostra indignazione, il nostro #noninmionome.
E poi il senso di colpa, non solo per i nostri privilegi, ma per appartenere a quella parte di mondo che il genocidio lo commette.
Il genocidio del popolo palestinese non è purtroppo l’unico in atto. Ci sono tanti conflitti dimenticati, che non hanno copertura, come per esempio quello in Darfur. E se pensiamo che il Sudan con le sue riserve d’oro potrebbe essere uno dei paesi più ricchi della terra, il fatto che il mondo e la giustizia girino al contrario è un’evidenza storica.
Il grande paradosso di Gaza è che sono le vittime stesse a raccontarci il proprio massacro.
Attraverso la loro narrazione senza filtri, abbiamo sdoganato qualsiasi tabù: dalla morte in diretta, ai corpi mangiati dai cani, al fatto che la vita dei bambini non è più sacra.
Eppure, pur vedendo tutto, non è cambiato nulla.
Non cambia a Gaza, di cui sappiamo ogni crimine, nè in Sudan, di cui non sappiamo quasi nulla.
Ecco perché abbiamo creato un precedente gravissimo. Abbiamo normalizzato e legittimato
TUTTO.
E questa consapevolezza va ad aggiungersi al dolore, all’impotenza, e alla colpa, creando la pozione perfetta della sconfitta. Etica, morale, umana.
2025. Si dice che quando si inizia qualcosa, bisogna farlo con speranza. lo l’ho consumata tutta, sciolta tra lacrime di incredulità.
Voi ne avete ancora?