Nuovi dettagli sulla maxi inchiesta sanità Basilicata a Roma con oltre 100 indagati e numerosi arresti oggi alba (vedi nostro articolo di stamattina “Maxi inchiesta sanità dell’Antimafia sull’emergenza covid e la rete ospedaliera. Blitz stamattina negli uffici del Presidente della Regione. Arrestati capogruppo e assessore regionale. Oltre 100 indagati“).
Spuntano alcune intercettazioni. Scrive il Fatto Quotidiano:
“Dagli “amici calabresi” fino al ministro della Salute Roberto Speranza. Francesco Piro, il capogruppo di Forza Italia nel consiglio regionale della Basilicata arrestato nell’inchiesta della Dda di Potenza, amava vantarsi. All’imprenditore berlusconiano, finito in carcere nell’inchiesta che vede coinvolta mezza giunta lucana, piaceva raccontare storie del suo passato: amicizie, minacce, persino aggressioni brutali. Le snocciola ignaro di essere ascoltati da Carabinieri e Squadra Mobile di Potenza che, insieme ai magistrati, hanno chiesto e ottenuto che le accuse mosse nei suoi confronti fossero di competenza della Distrettuale Antimafia.
“Io – racconta Piro a un’amica il 18 agosto 2020 – ho parlato con Speranza, io gli sto facendo la casa a Roberto a Roma ho un rapporto proprio diretto dice ‘oggi per com’è la norma” e io sai cosa ho chiesto a Roberto? Una sera a cena eravamo io, lui, mia moglie…”. Quale domanda abbia posto l’indagato al ministro della Salute Speranza non è dato sapere: il resto della trascrizione, infatti, è coperta da omissis. Poco prima di citare il ministro Piro aveva detto: “Sull’ospedale sull’ospedale (Lagonegro, ndr)se non avessimo fatto sta scelta avremmo perso tutti quanti i soldi e in più rischiavamo di chiudere il vecchio perché se tu oggi continuavi sulla sull’idea del nuovo
ospedale il ministero ti diceva va bene…” per poi sostenere di aver parlato con Speranza. In questa inchiesta, però, il responsabile della Salute non è coinvolto in alcun modo. Forse anche per gli inquirenti è una delle vanterie di Piro. L’imprenditore edile, infatti, racconta le sue gesta dai palazzi romani alle cosche calabresi.
“Mia moglie? È di Rosarno… Io basta che mando un messaggio ‘Potete venire’.Poi me ne vado in galera come Cristo comanda. Quindi lo sanno bene”. Il 3 settembre 2020, infatti, fa aleggiare una sorta di vicinanza con le cosche della ‘ndrangheta: “Il Piro – scrive il giudice per le indagini preliminari Antonello Amodeo – non esitava ma anzi si vantava di poter ricorrere alla criminalità organizzata calabrese ostentando a proprio vantaggio la nomea della città di Rosarno notoriamente considerata cardine di alcune delle maggiori cosche malavitose facenti parte dell’organizzazione criminale calabrese della ‘ndrangheta”. Nelle conversazioni captate, è proprio lo stesso Piro, tornando sull’argomento a spiegare che la sua pazienza ha un limite: “Che poi ad uno quando girano i coglioni, girano i coglioni capì? Sti figli di puttana che hanno fatto sta cosa, io tengo un compare…”.
Collegamenti calabresi che vengono anche in altre conversazioni intercettate dagli investigatori. Come quando nella sua Mercedes sta valutando iniziative editoriali e comprende che potrebbe avvicinare la proprietà di un quotidiano a lui ostile perché di origini calabresi. Per il giudice “rinsaldava senza alcun dubbio di possedere una potente spinta onde manipolare finanche una testata giornalistica e l’elaborazione delle notizie dirette al pubblico” oppure la “assoluta capacità di poter orientare a lor favore l’opinione pubblica su un immagine pubblica e su argomenti che avrebbero facilitato i loro interessi particolari”. Ma c’è di più. Tra le testimonianze raccolte dagli inquirenti guidati dal procuratore Francesco Curcio, ci sono testimonianze che indicherebbero Piro come ideatore di attentati, poi nei fatti mai realizzati. Il primo è un testimone, già indagato per associazione mafiosa, che ha raccontato come proprio Piro, imprenditore edile di Lagonegro, in passato si sia rivolto a lui per eseguire attentati contro un concorrente: Il Piro avrebbe spiegato all’uomo che si trattava di “un suo diretto concorrente nell’attività edilizia” che in quel periodo “lo stava danneggiando nel senso che tutti gli appalti più importanti li prendeva lui”.
Nonostante avesse assunto un ruolo pubblico, Piro evidentemente non resisteva alla tentazione di offrire un’immagine temibile di sé. Il 14 ottobre 2020, a una donna, racconta di aver picchiato selvaggiamente “uno che gli aveva rotto i coglioni”: lo avrebbe picchiato con una pala da cantiere procurandogli “125 giorni di prognosi, stava morendo”. E infine, nei confronti del berlusconiano lucano, pesano anche le parole Mario Araneo, capo della segreteria particolare del presidente Bardi indagato anche lui nell’inchiesta: agli inquirenti ha rivelato che da un ex collaboratrice di Piro, sarebbe stato messo in guardia “sulla intenzione del Piro di procedere ad attentati in danno della mia incolumità personale espressamente facendo riferimento ad una mia presunta gambizzazione che sarebbe stata decretata dal Piro”.
Inoltre, pervengono nuove notizie sui filoni di indagine, come riporta l’edizione locale de La Repubblica.
Il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi è indagato in due dei filoni d’indagine della procura di Potenza che ha terremotato la politica lucana. I pm guidati dal procuratore Francesco Curcio indagano per reati che vanno dalla tentata concussione, all’abuso d’ufficio, peculato e traffico di influenze. All’indirizzo del governatore è stato emesso un avviso di garanzia nei capitoli riguardanti la sanità e la gestione dei kit per i tamponi durante l’emergenza Covid: secondo l’accusa, esponenti dell’amministrazione regionale avrebbero avuto accesso ai controlli durante la fase iniziale della pandemia “in assenza dei rigidi presupposti all’epoca richiesti dalla normativa”.
Contemporaneamente, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata notificata al capogruppo di Forza Italia nel Consiglio regionale della Basilicata, Francesco Piro, arrestato a Lagonegro (Potenza). Proprio la costruzione del nuovo ospedale di Lagonegro, nell’area sud della regione, rappresenta uno dei versanti dell’inchiesta. Ai domiciliari c’è la sindaca di Lagonegro, Maria Di Lascio.
Nelle indagini sono coinvolti a vario titolo diversi esponenti politici. Tra questi l’attuale assessore regionale all’agricoltura, Francesco Cupparo (Forza Italia), nei cui confronti è stato disposta la misura dell’obbligo di dimora e l’ex assessore lucano alla sanità, Rocco Leone (attualmente consigliere regionale di Fratelli d’Italia) a cui è stato notificato l’obbligo di dimora a Policoro (Matera). Tra le persone coinvolte anche il direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza, Giuseppe Spera, per quale il giudice ha disposto il divieto di dimora a Potenza e una misura interdittiva all’esercizio di funzioni pubbliche.
Sono destinatari di avvisi di garanzia e non di misure cautelari, oltre al governatore Bardi, gli assessori regionali Francesco Fanelli e Donatella Merra, l’assessore comunale a Lagonegro Gianni Mastroianni e il dirigente del settore amministrativo della Regione Antonio Ferrara.
Bardi è coinvolto nel capitolo riguardante il cambio al vertice dell’Azienda ospedaliera “San Carlo” di Potenza e gli atti posti in essere, nel 2020, dalla giunta regionale nel tentativo di costringere alle dimissioni l’allora direttore generale dell’Azienda San Carlo Massimo Barresi, anche attraverso il taglio di 12 milioni di euro di fondi destinati all’azienda ospedaliera: in questo ambito risultano indagati con il governatore, (per un’ipotesi di tentata concussione secondo la Procura, ma che il giudice ha ritenuto di inquadrare nello schema del tentativo di induzione indebita) anche gli assessori Leone, Fanelli e Cupparo e Gianni Rosa, neo eletto al Senato con Fratelli d’Italia, nei cui confronti non è stato adottato alcun provvedimento, né avviso di garanzia. L’amministrazione regionale, argomentano i magistrati, voleva rimuovere l’allora dg Barresi perché “non appariva permeabile alle loro richieste”.
Per quanto riguarda i tamponi, nella ricostruzione della Procura i kit sarebbero stati utilizzati “come fossero beni in loro privata disponibilità, mentre si trattava all’epoca di beni pubblici” destinati ai pazienti con infezione acuta, e impiegati per effettuare il test a “persone amiche asintomatiche”. In tre casi, sarebbe stato sottoposto a tampone anche il governatore Bardi, in una quarta occasione un suo familiare. Da qui l’ipotesi di accusa di peculato. Per la stessa Procura invece non vi è prova del coinvolgimento diretto di Bardi, che è un generale della Finanza in pensione, nel traffico di influenze contestato a Piro per un presunto intervento volto a favorire l’assegnazione a un giovane finanziere di una sede di servizio favorevole.
“Si va avanti in un momento di crisi senza precedenti – ha detto Bardi – Sono come sempre disponibile a collaborare con gli inquirenti per chiarire ogni aspetto”. E in una lunga dichiarazione, il presidente della Regione sottolinea: “Voglio essere chiaro: la mia volontà di andare avanti nel governo della Regione Basilicata non è nemmeno in discussione. Sono sereno, ho un lavoro da portare a termine, nell’esclusivo interesse dei lucani, soprattutto in un momento di crisi senza precedenti come quello che stiamo vivendo. Voglio infine sottolineare un fatto: la mia vita è sempre stata improntata alla legalità e al rispetto delle regole. È la mia storia personale”.
Poi il governatore ha proseguito: “Voglio essere come sempre trasparente con i miei concittadini: stamattina mi hanno chiamato in causa su alcune vicende oggetto di indagine. Voglio prima di tutto ribadire la mia disponibilità verso le forze dell’ordine e la magistratura cui darò la massima collaborazione per fare chiarezza. In particolare – ha aggiunto – mi viene contestato di aver promesso di favorire una persona per ottenere un trasferimento di sede, fattispecie rispetto alla quale mi ritengo del tutto estraneo. In un altro filone dell’indagine, che non mi riguarda assolutamente, si paventa il coinvolgimento della criminalità organizzata calabrese, su cui auspico venga immediatamente fatta la massima chiarezza”. Bardi ha poi evidenziato che “vengono poi contestate alcune delibere di Giunta – quindi atti pubblici, che tutti possono leggere – con le quali avremmo tentato di influenzare l’allora Direttore generale del San Carlo di Potenza. Sono atti di programmazione e di indirizzo sanitario, che non avevano alcun secondo fine. Infine, c’è la sofferta questione dei tamponi, che – ripeto ancora una volta – non ha sottratto alcunché ai cittadini lucani e ai quali sono stato sottoposto per ragioni sanitarie e non certo per favoritismo, nella convinzione – ha concluso il presidente della Regione Basilicata – della perfetta doverosità di tale prestazione”.
Le zone che non votavano per quel candidato rischiavano di rimanere senza segnale sui cellulari. La sindaca di Lagonegro Maria Di Lascio avrebbe chiesto di disattivare i ponti radio in alcune aree del territorio allo scopo di oscurare il traffico telefonico nelle zone dove la campagna elettorale per il candidato al Parlamento Francesco Piro, di Forza Italia, non aveva trovato abbastanza sostenitori. C’è anche questo retroscena nelle carte dell’inchiesta della Procura di Potenza che ha portato Piro in carcere e la sindaca Di Lascio ai domiciliari.
“Le indagini svolte nel corso della campagna elettorale nazionale tenuta fino al 25 settembre”, scrive la Procura, hanno fatto emergere che ” il sindaco di Lagonegro richiedeva, senza riuscirvi, a funzionari di società che gestiscono le reti di telefonia mobile di disattivare i ponti radio da loro gestiti, per impedire così il traffico telefonico di determinate zone dove abitavano i non-sostenitori di Piro, affinché a costoro fosse di fatto impedito di usufruire del servizio telefonico mobile”. In un altro caso, nei confronti di un elettore che non sosteneva Piro si sarebbero attivati per impedirgli di accedere alle condotte idriche su un terreno agricolo. Dalle indagini, accusa la Procura, è emerso che Piro si muoveva in modo estremamente spregiudicato, anche “ostentando asseriti collegamenti con contesti criminali calabresi” e intrecciando “relazioni con la criminalità organizzata locale”.