a testa alta

da | Ott 13, 2022 | Home, Testimonianze

di Gianpaolo Dotto – poliziotto

È accaduto così quel giorno. Sono i cosiddetti ricordi indelebili. Entrano direttamente nella memoria a lungo termine più importante, quella storica. Ero preparato, avevo pensato a quel momento da tanto. Sapevo che sarebbe
arrivato. Prima mai.

Di quel particolare periodo intendo. Perché per arrivare a quel punto di non ritorno ti devi macchiare di infamia. E questo per il mio carattere, per il mio “essere” non è contemplato. Per primo ho messo sul tavolo
le manette, quasi contemporaneamente le chiavi. Chi era davanti a me non parlava. Mi ha accolto nel suo ufficio con uno sguardo che dice tutto. Quei silenzi che parlano. Anche l’atmosfera parlava. Si respirava. Una bolla
emotiva.

Solo chi ha una sensibilità particolare mi può capire. Gli altri non mi interessano. Non mi sedetti. Restai appositamente in piedi. Il secondo fu il tesserino. Ci mise un po’ ad uscire dalla custodia, come in un romanzo quando le istituzioni, per mezzo dei suoi esecutori, portano via i bimbi ai genitori e loro si attaccano disperatamente alla porta. Un vano tentativo che però è anche un bellissimo gesto d’amore. Poi è toccato al distintivo. L’occhio si è concentrato subito sul simbolo principe, la stella che rappresenta lo Stato.

Già lo Stato. Quello per cui ho dedicato quasi una vita intera. Ma il passato non conta. C’era il “qui e ora”. Per ultimo l’arma. La sicura inserita.L’estrazione del caricatore.

Poi come da manuale: “arma in sicura e priva di caricatore (doppio scarrelamento con arma puntata verso un punto sicuro) arma scarica”. Il suono metallico echeggiava ancora quando misi l’arma sulla scrivania. Poi le firme e il saluto. Non si mosse chi era dall’altra parte.

Mi vennero in mente le parole di una bellissima canzone
<>.
Poi uscii. Non parlai con nessuno. Solo un abbraccio con un paio di colleghi, un attimo eterno. Un po’come il percorso che portava all’uscita della questura. Passi nel silenzio. Un “miglio Verde” alla rovescia. Istanti in cui pensi a tutto. Quanto durerai senza stipendio, già perché contemporaneamente con modalità differenti il suo miglio verde lo percorreva anche mia moglie. E le alternative erano poche perchè in quel decreto, in quel foglio, c’era una postilla che vietava qualsiasi tipo di lavoro durante la sospensione, anche quei lavori che sono compatibili con mestiere dello sbirro, pena il licenziamento definitivo.

Neanche per i delinquenti in divisa è prevista una tale “condizione”.

Dimenticavo. A loro lo stipendio è decurtato per meno della metà. A me fu tolto tutto. Non solo. La carriera Bloccata. E quando sei un atleta che corri, anche se sei uno dei più veloci ma ti fermano, anche i più scarsi ti passano avanti. Quelli che non ti avrebbero mai raggiunto. Poi la ciliegina. Pochi giorni dopo arrivò il Natale. Minchia signor tenente. Una parentesi durata poco meno di un mese. Poi arrivò il Covid. Salvato da una malattia che neanche sentii.

leri la notizia che una attempata signora nome della sua azienda ha ammesso che le basi di tutto quel miglio verde al contrario non c’erano. Né per me né per tutti quelle migliaia di persone normali, che provano a rivendicare un semplice diritto sancito dalla costituzione. La stessa carta di cui oggi tutti parlano dopo il discorso di una senatrice a vita che, non dimentico, usò parole verso quelli come me di una pesantezza unica.

Il pulpito non fa un prete. Il mio stato d’animo non può essere contestualizzato. Un po’come quando l’arbitro Moreno ammise di essere stato corrotto per far perdere la nazionale italiana ai mondiali. Come le intercettazioni telefoniche che le provavano i concorsi truccati con i figli di politici professori universitari ammessi senza titolo. Come prove false di antrace per far partire una maledetta guerra.

Indietro non si può tornare.

E sappiamo bene che chi ci ha additato come folle, chi ci ha allontanato più o meno palesemente dalla sua sfera relazionale non ammetterà mai di aver non dico sbagliato ma neanche esagerato. Tutto ciò non mi interessa minimamente. Rimane l’amaro In
bocca. E una cicatrice. Una bellissima e potente ferita rimarginata. Fa parte di me, della mia dignità.

Diritto in piedi. Come quel giorno.