Di E. Samek Lodovici
Perché il compito educativo del genitore è così insostituibile? Perché, per esempio, è più importante fare un uomo che non fare un libro; una volta letto, il libro viene chiuso, ma quando un uomo è stato fatto parla per tutta la vita. Un secondo aspetto riguarda l’accettazione. Accettare un figlio non vuol certamente dire non correggerlo, ma accettarlo per quello che è, con quella natura, con quel tipo di intelligenza.
Accettare non vuol dire lasciare che un figlio faccia quello che vuole, poiché questo non è liberarlo, è anzi lasciarlo in balia di pseudo scelte che lo rendono schiavo di ciò che in quel momento sulla piazza ha la voce più forte.
Accettare non vuol dire neppure volere che nostro figlio sia, poniamo, quella persona così capace che avremmo desiderato, o volere che faccia ciò che facciamo noi: vuol dire progressivamente portarlo a fare delle scelte libere. Essere educati significa essere condotti alla libertà. Tanti padri, tante madri «rovinano», tra virgolette, perché pensano che sia meglio, in modo più o meno occulto, far sì che il figlio faccia come loro. L’autorità dei genitori non può essere stupida, deve essere intelligente, un’autorità «autorevole» come avviene nelle botteghe artigianali, dove non si insegna direttamente, ma con l’esempio. Se vogliamo che i figli ci amino, non dobbiamo parlare di amore, ma dobbiamo amare; se vogliamo che siano sinceri. dobbiamo essere sinceri. Diversamente, le parole assumono un tono fatuo, come “i grandi valori”, “la verità”, e così via.
Un terzo aspetto riguarda la fortezza. Di fronte all’obiezione per cui, agendo con tali princìpi, i figli diverrebbero dei disadattati, ritengo che non inserire i figli in questa società sia un dovere.
Occorre abituarli a dire no al predominio dei cretini, abituarli in fondo a capire, come paradosso, che devono essere intelligenti perché soltanto loro capiranno perché gli stupidi fanno carriera.
Bisogna insegnare ai figli a fare fronte, a resistere e ad assalire, cioè a essere forti, poiché se sono forti cambiano l’ambiente; certo costa, ma nei tempi lunghi darà grandi frutti. Non dobbiamo perciò preoccuparci se trasmettendo uno stile di vita ne facciamo dei disadattati; non bisogna cedere prima degli altri, se si sa perché si combatte. Un filosofo che amo, Nietzsche, afferma: chi ha un perché sopporta molti come. Pensiamoci; chi ha un perché nella vita sopporta anche molte anormalità, molte delusioni iniziali, ma assicuro che in ultimo la fine dei Proci la fanno gli altri.
Noi genitori abbiamo un capitale che sono i figli; dedicarsi a loro, impegnarsi magari a collaborare a iniziative comuni, alla realizzazione di ambienti educativi, sarà il nostro modo di portare il mattone per il tempio. Ecco la realtà meravigliosa per un genitore, capire questo, che sta facendo il tempio, non una festa aziendale o campestre; sta combattendo la nuova battaglia e allora inizia a dilatare il cuore e a capire perché non si può più disperare.
Perché il compito educativo del genitore è così insostituibile? Perché, per esempio, è più importante fare un uomo che non fare un libro; una volta letto, il libro viene chiuso, ma quando un uomo è stato fatto parla per tutta la vita. Un secondo aspetto riguarda l’accettazione. Accettare un figlio non vuol certamente dire non correggerlo, ma accettarlo per quello che è, con quella natura, con quel tipo di intelligenza.
Accettare non vuol dire lasciare che un figlio faccia quello che vuole, poiché questo non è liberarlo, è anzi lasciarlo in balia di pseudo scelte che lo rendono schiavo di ciò che in quel momento sulla piazza ha la voce più forte.
Accettare non vuol dire neppure volere che nostro figlio sia, poniamo, quella persona così capace che avremmo desiderato, o volere che faccia ciò che facciamo noi: vuol dire progressivamente portarlo a fare delle scelte libere. Essere educati significa essere condotti alla libertà. Tanti padri, tante madri «rovinano», tra virgolette, perché pensano che sia meglio, in modo più o meno occulto, far sì che il figlio faccia come loro. L’autorità dei genitori non può essere stupida, deve essere intelligente, un’autorità «autorevole» come avviene nelle botteghe artigianali, dove non si insegna direttamente, ma con l’esempio. Se vogliamo che i figli ci amino, non dobbiamo parlare di amore, ma dobbiamo amare; se vogliamo che siano sinceri. dobbiamo essere sinceri. Diversamente, le parole assumono un tono fatuo, come “i grandi valori”, “la verità”, e così via.
Un terzo aspetto riguarda la fortezza. Di fronte all’obiezione per cui, agendo con tali princìpi, i figli diverrebbero dei disadattati, ritengo che non inserire i figli in questa società sia un dovere.
Occorre abituarli a dire no al predominio dei cretini, abituarli in fondo a capire, come paradosso, che devono essere intelligenti perché soltanto loro capiranno perché gli stupidi fanno carriera.
Bisogna insegnare ai figli a fare fronte, a resistere e ad assalire, cioè a essere forti, poiché se sono forti cambiano l’ambiente; certo costa, ma nei tempi lunghi darà grandi frutti. Non dobbiamo perciò preoccuparci se trasmettendo uno stile di vita ne facciamo dei disadattati; non bisogna cedere prima degli altri, se si sa perché si combatte. Un filosofo che amo, Nietzsche, afferma: chi ha un perché sopporta molti come. Pensiamoci; chi ha un perché nella vita sopporta anche molte anormalità, molte delusioni iniziali, ma assicuro che in ultimo la fine dei Proci la fanno gli altri.
Noi genitori abbiamo un capitale che sono i figli; dedicarsi a loro, impegnarsi magari a collaborare a iniziative comuni, alla realizzazione di ambienti educativi, sarà il nostro modo di portare il mattone per il tempio. Ecco la realtà meravigliosa per un genitore, capire questo, che sta facendo il tempio, non una festa aziendale o campestre; sta combattendo la nuova battaglia e allora inizia a dilatare il cuore e a capire perché non si può più disperare.