Lo storytelling ha forme diverse ma i contenuti vanno tutti nella stessa direzione(le agende). Apportare cambiamenti utili ai pochi senza ottenere una reazione violenta, che contenga il dissenso, che offra un’opposizione sufficiente e di facciata, che crei speranze di rese dei conti fatte affiorare di tanto in tanto dando una parvenza di giustizia che però tarda ad arrivare o arriva quando non ce n’è più bisogno, quando è inutile perché nel frattempo si provvede a sdoganare problemi più grandi, rospi sempre più paffuti da ingoiare spostando l’attenzione altrove.
Lo si fa sfruttando o, come sarebbe lecito dire, manipolando situazioni più o meno create ad arte, ad hoc ma mantenendo una certa distanza dalle proprie e reali responsabilità.
Lo si fa con atteggiamenti paternalistici, come se si avesse a che fare con minorati mentali a cui somministrare l’euchessina come purga per le proprie preoccupazioni.
Lo si fa “affondando il coltello” nella ferita ancora aperta del sentimentalismo condizionando l’opinione verso il sacrificio come extrema (ma ripetuta) ratio.
Tutto ciò, come ricordato più volte (ma a quanto pare mai abbastanza), lo abbiamo visto accelerarsi negli ultimi anni (gli ultimi due soprattutto) con il clima prima- solo accennato e accantonato come “boccon di Tobia” – con il covid poi ed ora con il conflitto in terra d’Ucraina.
I protagonisti dell’eterna novela sono:
Il problema od il carnefice, la vittima ed il salvatore che offre la soluzione con l’ausilio di complici mossi dall’ideologico sacrificio altruistico, il tutto in un ambiente analogo ad un circolo vizioso.
Una narrazione che, attingendo ad un recentissimo passato, ma alquanto presente, va rigettata seduta stante pena il risucchio nel vortice dell’informazione manipolata ai fini di lucro in cui non si è assolutamente vittime ma ci si colloca come meri esecutori.
Per intuire il senso del giusto ed abbracciarlo occorre forse citare il nostro lato umano, qualora si decida di mantenerlo.
WI