Di Zory Petzova
Quest’anno il Forum di Davos è stato espressione dell’attrattiva della NATO: attualmente la NATO è la più grande macchina d’affari, a cui tutte le oligarchie e governi occidentali vorrebbero agganciarsi, a maggior ragione se essa dovesse spingersi oltre l’attivismo regionale, verso un protagonismo globale. In particolar modo la struttura è ambita da politici ambiziosi che, una volta scaricati dal processo elettorale, potranno sperare ad occupare qualche carica in una delle sue nove sotto-agenzie, riscuotendo lauti stipendi. (Lo stesso meccanismo motivazionale della “porta girevole” vale anche per i politici che si sono distinti nella gestione pandemica.)
La NATO, però, non offre solo prospettive di business e carriera “legali”. Essa è una stratificazione di livelli evidenti e meno evidenti, dove si potrebbe parlare di una dimensione “deep”, o quella che comunemente viene definita “deep state”, che fa riferimento sia all’anonimato di contractor privati, che a veri e propri sistemi criminali. Le guerre sono causa di fenomeni migratori, di scombussolamenti demografici e per questo anche di traffico di esseri umani. Nel 2004 il personale della NATO risultò coinvolto nel traffico di esseri umani nei Balcani – riduzione in schiavitù a fini di prostituzione. Secondo i rapporti dell’Amnesty International (link), nello stesso traffico era coinvolto, oltre al personale della NATO, anche personale dell’ONU. Il business aveva comportato l’arruolamento di mafie locali e la loro integrazione ai fini del controllo del territorio. D’altronde, non è un segreto che le intelligence si servono delle mafie locali, ma rivelare un tale marciume anche in una organizzazione di peacekeeping non era così scontato, visto che “The Guardian” parlava addirittura della “punta di un iceberg di traffici illegali di ogni genere”, agevolati dal segreto militare. Non c’è quindi da sorprendersi se tra i sostenitori più accesi della NATO ci siano proprio le mafie locali, ma bisogna anche chiedersi se non sono proprio le forze politiche attualmente più interventiste, come i nostri PD e FI, quelle a rappresentarle meglio.
Questo forse spiega la scelta dell’ Ucraina come il territorio ‘ideale’ della guerra con la Russia: non solo in quanto avamposto da cui mettere sotto minaccia il Cremlino, ma anche perché disponibile di una rete ben coordinata di mafie locali, le quali divideranno il bottino con gli ufficiali della NATO in tutti i traffici illegali immaginabili: dalla vendita di armi e droga al traffico di donne e bambini, incluso il traffico di organi. Gli investimenti miliardari del “deep state” americano in Ucraina saranno, a ogni modo, ben spesi. Il messaggio via tweet del capo della missione diplomatica ucraina ai signori di Davos, un tale Mihailo Podolyak, che boccia ogni accenno di trattative con la Russia e chiede “armi, denaro ed embargo”, non è un irriverente impulso di delirio, ma la richiesta in codice delle mafie ucraine, fatta dalla posizione di un clientelismo esclusivo. Motivo per cui i benpensanti del ‘pacifismo interventista’ pro-ucraino dovrebbero rendersi conto che l’intervento russo in Ucraina è anche un intervento contro i traffici illegali, fra cui da ricordare quello di bio-armi dei laboratori sotterranei di Azovstal.
Davos è la vetrina del potere mondialista, dove i ricchi amano esibirsi per essere temuti e rispettati, dimostrando quanto sia ingenuo credere in un processo decisionale dal basso o quantomeno per vie parlamentari. Il profitto conferisce agli aggregati del lobbying un inarrestabile automatismo che spinge l’espansione della NATO, ma questa avida espansione incontra al contempo l’abilità dei potenti di promuovere campagne pubblicitarie e propaganda mediatica, dove ogni interesse incontra uno slogan efficace che plasma l’opinione pubblica. Davos mostra che il vero potere non ha un programma di soluzioni, ma al contrario – è la fonte dei problemi e esempio di irresponsabilità, spesso accompagnata da psicopatica follia.
Il potere è pericoloso e va preso sul serio, ma questo non significa affatto che il potere sia intrinsecamente serio, di certo non quello mondialista che si costituisce in chiave anti-democratica e anti-umanista.
Tuttavia, dal Forum di Davos si è alzata anche una voce fuori coro, per di più una voce molto autorevole. Il discorso di Kissinger, in totale controcorrente rispetto all’oltranzismo anti-russo dei partecipanti, dimostra non solo che a una certa età si è liberi di esprimere il proprio pensiero, ma che nell’establishment americano esiste anche un’altra corrente geopolitica, che considera la Russia non un nemico, bensì un naturale partner e alleato nell’arginare l’imperialismo cinese. È evidente che nella sua visione Kissinger si rifà alla linea geopolitica trumpiana, ma il grande esperto di Relazioni Internazionali manda anche un altro messaggio ai leader europei: invitandoli a concludere la guerra a favore delle richieste russe e ricordando l’imprescindibile ruolo storico della Russia come bilanciatore fra le forze mondiali, Kissinger dichiara implicitamente quale sarà l’esito di questo conflitto. Nell’assenza della delegazione russa a Davos, l’ultimo grande stratega vivente è stato capace di dare un elegante colpo finale al declino morale di Davos e di tutto il suo sistema.