La vera storia della fiat

da | Giu 26, 2022 | Home, L'altra storia

di Marcel Lo Zingaro

Diversamente da quel che si pensa, non fu’ Giovanni Agnelli a fondare la Fiat, questa nacque su idea dei fondatori dell’automobile club italiano, Emanuele Cacherano di Bricherasio e Cesare Goria Gatti, i quali dopo aver visto il successo riscontrato dalla Wellyes, automobile prodotta dalla Accomandita Ceirano & c. pensarono di fare una produzione industriale in linea con quanto già avveniva in Europa.
Quindi, assieme ad una decina di soci della buona borghesia torinese, ovvero il conte Roberto Biscaretti di Ruffia, il Marchese Alfonso Ferrero de Gubernatis Ventimiglia, il banchiere e industriale della seta Michele Cerina Mayneri, l’avvocato Carlo Racca, l’agente di cambio Luigi Damevino, l’industriale della cera Michele Lanza e il possidente Lodovico Scarfiotti, oltre all’ingegner Aristide Faccioli e il costruttore Giovanni Battista Ceirano (questi ultimi già titolari dell’accomandita Ceirano) e inoltre col finanziamento del banco di sconto e della sete di Torino, praticamente mettendo assieme 4000 azioni per un totale di 800.000 lire corrispondenti a 3,6 milioni di euro attuali.
Praticamente, prima della stipula dell’atto, decisero di escludere Ceirano in quanto era solo un meccanico, cioè non volevano un poveraccio nell’affare.
Michele Lanza, che già aveva esperienza nella costruzione di automobili e sapeva a che difficoltà si andasse incontro ed era contrario a tale esclusione; allora si tirò indietro dall’affare. Quindi Lodovico Scarfiotti all’ultimo momento convinse e coinvolse il suo amico Giovanni Agnelli.
Nel 1903 la fiat venne quotata in borsa e l’amministratore delegato Agnelli fece un aumento di capitale.

Nel biennio 1905/06 con aggiotaggio e insider trading fece lievitare al massimo le azioni e diede il la ad una divisione degli utili astronomica mandando in fallimento e liquidazione l’azienda, per poi riacquistare le azioni a due soldi diventando quindi l’azionista di maggioranza.
Per questo motivo venne indagato dalla procura di Torino, ma Giovanni Giolitti faceva buona guardia su di lui, e nel 1907 gli conferì la croce di gran cavaliere al merito del lavoro mentre il ministro della giustizia Orlando si intrometteva pesantemente nel lavoro della magistratura torinese, asserendo che un processo simile avrebbe avuto gravi ripercussioni sull’industrializzazione del Piemonte.
Nel frattempo la fiat assorbì lo stabilimento dell’ansaldo con analoga manovra speculativa.
Nonostante tutto, grazie anche al perito della procura Pietro Astuti che confermò le accuse ad Agnelli, mostrando come le scritture di questi portarono ad ingiustificati profitti a scapito della società, Giovanni Agnelli venne rinviato a giudizio per truffa il 23 agosto del 1909.
Grazie a ricorsi vari e alle ingerenze del ministro Orlando, il processo venne rinviato al 21 giugno 1911.
In secondo grado Orlando divenne il difensore di Agnelli e con le testimonianze a favore dei dirigenti della banca commerciale Vittorio Roll e Lodovico Toeplitz venne assolto.
Nel 1914, in preparazione della WWI Agnelli ottenne che Torino venisse dichiarata zona di guerra e gli operai soggetti al codice militare di guerra, per cui persero qualsiasi diritto ( ferie, malattia, ecc) mentre la fiat ricevette comande per veicoli militari da tutta Europa.